![]() ![]() Se non ci sono più tarante, non ci sono più nemmeno le tarantate, perché la tarantola è fredda, “non va in fecondazione per la generazione” e per questo motivo “non danneggia, non ostacola, non ti fa male”. Adesso tutto è stato distrutto con questo diavolo di medicine, perfino le taragnole, le civette, tutti gli uccelli che prima facevano del bene alla campagna”(3). Ancora nel 1993, il contadino novantenne Luigi di Acaya (intervistato dallo studioso Maurizio Nocera) affermava con convinzione: “ Le medicine che gettano ora, che irrorano dentro le campagne con il ‘Seccatutto’, quanti animali ci sono tanti ne distruggono. Alcune testimonianze raccolte non più di quindici anni fa mostrano come la scomparsa del tarantismo venisse imputata al fatto che la taranta non risultasse più nociva all’uomo perché i “veleni” contenuti nei moderni concimi avevano alterato l’equilibrio della fauna. Le spiegazioni popolari (degli attori sociali che agivano nel tarantismo) ovviamente non fanno alcun riferimento all’analisi dei fattori di natura economica, storica e sociale che possono aver portato all’estinzione del tarantismo esse sono piuttosto la logica conseguenza della convinzione, antica e indiscutibile, dell’esistenza della “famigerata” taranta. Le motivazioni che hanno trascinato questo ultimo tarantismo ad una rapida e totale estinzione sono da iscrivere anche nel quadro degli impressionanti mutamenti socio-culturali degli ultimi decenni del XX secolo. Īnche quel tarantismo, già profondamente disgregato agli inizi degli anni Sessanta del XX secolo, è oggi del tutto scomparso. ![]() Durante il culto cristianizzato della taranta San Paolo nella cappella di Galatina “il tarantismo si spogliava di ogni dignità culturale, di ogni efficacia simbolica ” (2). L’antropologo napoletano imputava questo declino soprattutto all’azione omologante della religione cattolica, che, nel tentativo di sottomettere a sé forme di religiosità considerate pagane, aveva finito per frantumare “il tarantismo in una serie di grotteschi ibridismi senza avvenire, e soprattutto in una serie di crisi senza orizzonte”. Già nel 1959 Ernesto De Martino intravide la profonda disgregazione culturale verso cui si avviava quello che lui definiva “esorcismo musicale-coreutico-cromatico”. Il fenomeno del tarantismo riguardava quasi esclusivamente il mondo rurale salentino, ma si inseriva nel più ampio contesto di pratiche magico-prottettive che caratterizzava le civiltà contadine dell’intero Sud Italia (1). Il tarantato, incalzato dal potente simbolismo del ragno che morde, veniva accompagnato dai musicisti-terapeuti e dalla comunità tutta attraverso un violento quanto risolutore stato alterato di coscienza, momento cruciale del rito. Il tarantismo offriva un preciso rituale terapeutico che prevedeva l’intervento della danza, della musica e dei colori. In passato il tarantismo si delineava come un sistema culturalmente elaborato di liberazione dall’angoscia, un efficace processo di risoluzione dei conflitti psichici individuali e delle tensioni sociali. ![]()
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